martedì 25 marzo 2014

Mi fido di te

Crederci.

Credere come respirare, più naturale di camminare, di tenere la penna tra il pollice e l'indice, più spontaneo di un bacio, più intimo di un abbraccio in segreto.

Credere è chiudere gli occhi e vedere innanzitutto i colori, è aspettare senza scomporsi, sicuri che l'attesa non sarà vana.

Credere è la Vigilia di Natale e non importa se arriviamo ogni anno trafelate all'appuntamento con il secondo 'primo amore' (dopo il padre per le figlie femmine e la madre per i maschietti), perché a tu per tu con le lucine dell'albero il resto perde d'improvviso di urgenza e torniamo in noi, finalmente, dopo trecentossessantaquattro giorni dall'ultimo pacchetto da scartare. Santa Claus esiste come esiste l'amore, quello perenne e invincibile, anche quando non lo si può toccare.
 
Ecco perché vale la pena di correre il rischio e credere, che una caduta non ha mai tolto la fiducia in nessuno, come quando da piccoli impariamo ad andare in bicicletta e i nostri genitori ci tengono saldi dal sellino, per non farci sbandare, e noi sappiamo che loro sono lì, che non se ne andrenno, e per questo viviamo il primo assaggio di libertà su due ruote, leggeri, entusiasti, incoscienti come non mai. Eppure la loro mano non c'è, ce ne accorgiamo al primo stacco, ce lo ricordano le ginocchia sbucciate, ma il bene non è cambiato, nessun rapporto viene messo sotto giudizio, sottosopra o in sospeso.
 
Jacqueline Kennedy, 1970
 
Le pause di riflessione fanno parte di un mondo teoricamente perfetto, dove in realtà chi ama è fallibile, lo siamo tutti nostro malgrado, mentre non dovrebbe esserlo il sentimento corrispondente di affetto, stima e, appunto, fiducia. In amore vince chi resta e pedala, questo vale per qualsiasi relazione personale o professionale sottoposta all'usura del tempo. Senza macchia e senza difetti sono solo i cavalieri. Anche l'uomo con la barba è in leggero sovrappeso, ma mai lo vorremmo diverso, altrimenti per chi sforneremmo tutto l'anno biscotti a forma di renna e di stella cometa?!
 

 "Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui.
Ti passerà anche la rabbia."
 
 
Giovanna Jacqueline C.
 
 
"Guarda un filo d'erba al vento e sentiti come lui. Ti passerà anche la rabbia." Tiziano Terzani da Lettera a Oriana Fallaci.

lunedì 17 marzo 2014

Prima Vere, la prima cosa vera.


"Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime 
prima che i corpi si vedano. 
Generalmente essi avvengono quando arriviamo a un limite. 
Quando abbiamo bisogno di morire e rinascere emotivamente."


Questo posso con sicurezza affermare di ogni incontro che ha lasciato un odore indelebile sulla pelle, confondendosi con il colore del sangue, il profumo dell'erba appena tagliata, le fragranti note del pane caldo e del mare, entrambi a loro modo avvolgenti e di cui non mi stanco mai...





Questo senz'altro vale per quella telefonata stizzita, ricevuta una notte di settembre di un anno e mezzo fa, dopo una torrida estate. Dall'altra parte del mondo lei, l'amica con cui ho scritto le pagine più belle tra una lezione di greco e le assenze del professore di filosofia. La sua voce è un susseguirsi di secchi e martellanti rimproveri, di pause che sono aree grigie (in grafologia vengono definite così le aree in cui lo spazio grafico è sporcato dal tratto e dunque il bianco non emerge, ma appare, appunto, grigiastro, nda.) e di silenzi che sono, per definizione, "assenza di ogni forma di rumore, di suono o di voce". Lo ricordo come fosse ieri.

Ero arrivata ad un limite e a quel punto estremo da me, eccola, 'capita' lei. La mia migliore amica era lì, puntuale ma in fondo mai partita davvero, pronta di nuovo a incontrarmi. 

Adesso so che avevo bisogno della sua forma di esistenza lieve e speciale (intelligente, idealista, armoniosa) per scrollarmi di dosso il dolore e lasciare che il tempo solcasse il mio viso, dando corporeità ai sogni della nostra primavera.


Ieri ci siamo scambiate questo:

Montelupo, ore 11.40 - Io a lei


Paris, ore 17.40 - Lei a me


Giovanna Jacqueline C.

mercoledì 12 marzo 2014

Taglio e luce


Taglio e luce 
le condizioni perfette per raccontare una storia, 
quando il sole filtra 
attraverso le ferite e riscalda i nostri giorni ammaccati.


Così stamani, di buona lena, ho acceso il destino, inzuppando i biscotti nel mare magnum dei sogni a occhi aperti, quelli che il vento solleva e i capelli inseguono, rinunciando all'acconciatura perfetta.

Una telefonata aspettata e cresce dentro la responsabilità di essere viva, di sentire finalmente la testa e il cuore allineati alla pancia, la prima culla, quella che dà ai desideri prospettiva progettuale. Da qui si volta pagina per continuare il racconto con uno stile personale e unico, impeccabile solo se procede a variazione continua, informale e ironico, autoironico soprattutto.

E quindi: levare l'àncora, ma esigere da se stessi l'ancòra, volersi bene come condizione sine qua non per fare del bene, creando così valore in modo naturale - non per compensazione o accumulazione in difetto -, scherzare, saltare, toccare la leggerezza con mano, rimbalzare pur mantenendo la tenuta di riga, come un grafismo armonioso, ritmato, proprio di donne e uomini " liberi [...] di lasciarci andare e poi riprenderci"


nelle relazioni interpersonali...

)

...e nella relazione con noi!


Giovanna Jacqueline C.


Ph. Credits: Silvia Noferii "Hòtel Réverie", DAC - De Simoni Arte Contemporanea, Genova, Italia (2008)

lunedì 3 marzo 2014

Unforgettable

Non esistono giorni più importanti di altri, ma esistono momenti a cui dedichiamo migliore attenzione, in termini per lo più qualitativi, passaggi che prefiguriamo nel cuore e traduciamo in catene di parole e di azioni combinate incessantemente tra loro, come se questa complessa macchina organizzativa, da sola, li rendesse speciali e unici.
 
È davvero così?

 
Seneca e con lui quasi tutti gli autori classici di una Roma decadente e opulente, al centro di un mondo in declino, ci ricordano nei loro scritti civili l'urgenza di rimanere sul pezzo, ovvero il presente fatto di spazi e di tempi da raccordare e modulare sul destino personale dell'Uno, incrociato al destino accidentale di ognuno. 

Un dedalo di strade che non siamo più abituati a percorrere nei nostri tragitti quotidiani, proiettati, piuttosto, verso il rettilineo dell'impossibile felicità hic et nunc, chimera umana troppo umana, che sovente snobbiamo in nome dei grandi racconti estemporanei: grandi nella proiezione a medio-lungo o lunghissimo termine, racconti nel loro essere testi da recitare prima a se stessi e poi riversare - fantasmagorica materia di scambio - in una delle tante happy hour organizzate a posta per l'occasione.
 
L'imprevisto a confronto diviene noia, così come la gita di fine anno, boicottata in maniera preoccupante da tante famiglie e dagli studenti stessi (non solo, o perlomeno non sempre, per motivi di economia familiare), o l'ultimo ballo di Carnevale, con cui all'epoca dei nostri nonni si concludeva il martedì più grasso dell'anno, entrambe ricorrenze pagane - l'una didattica l'altra sociale - finite nel dimenticatoio delle piccole cose inutili di ogni giorno.
 
Se le feste non vengon più percepite tali, o meglio, hanno perso quell'allure di eleganza e magia che le rendeva unforgettable e dunque occasioni da non dimenticare...
Se i dì feriali sono stati elevati al rango dei dì di festa, mutuando da questi usanze, profumi, colori profani...
Se il sabato del villaggio potrebbe tranquillamente cadere di venerdì o di domenica...

Ecco, pur preferendo la separazione dei giorni e così cercando di vivere i miei, tuttavia credo sia possibile, nonché auspicabile, compiere un passo avanti facendo un passo indietro. 
 
Celebriamo la Vita, la sua grande bellezza, 
a ogni istante, 
ma non dimentichiamolo mai.
 
 
 
Tutte le immagini sono un omaggio ai cantastorie contemporanei (tratte da)
 
 
 
 
Giovanna Jacqueline C.