Ieri il cuore ha tremato, sorvolato da un cielo intagliato tra i rami di alberi secolari, drammaticamente abbattuti a terra. Pini e cipressi a cui sono legate la vita e le tradizioni della mia terra, del Ducato che un tempo comprendeva tutti i campanili, di un contado che resta tale anche quando è ormai più che urbanizzata, di un popolo burbero e fiero, polemico ma senza rabbia.
Ieri la rabbia, però, l'ho sentita tirare in ballo davvero, al bar come al mercato, tra i banchi di una scuola semi abbandonata, alla posta, in studio, dall'altra parte del telefono.
Ieri la rabbia, però, l'ho sentita tirare in ballo davvero, al bar come al mercato, tra i banchi di una scuola semi abbandonata, alla posta, in studio, dall'altra parte del telefono.
E ora, all'indomani del vento, mi trovo a ripensare la sensazione di impotenza che si confonde con l'ira e lo sfogo di fronte a ciò che non si può non solo prevedere, ma nemmeno fermare: la forza di un mondo che è razionale solo a metà, dove siamo chiamati a pensare e ad agire e non sempre, non necessariamente, in quest'ordine.
Siamo creature razionali con un'anima d'istinto e passioni, capaci di grandi imprese e altrettanto sconfinate tempeste; abbiamo bisogno dell'acqua e della pioggia come del vento e del sole per crescere e progredire nel nostro fragilissimo viaggio, ancorati a un per sempre racchiuso in ogni istante, angeli e demoni, con un occhio sacro e l'altro profano e cieco di fronte all'infinito.
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